domenica 13 marzo 2016

Sobborgo senza Luce 

di Pablo Neruda


Se ne va la poesia delle cose
O può condensarla la mia vita?
Ieri – guardando l’ultimo crepuscolo,
ero una macchia di muschio tra le rovine.

Le città – fuliggini e vendette
Lo lordura grigia dei sobborghi
Il lavoro che incurva le spalle
Il capo dagli occhi annebbiati

Sangue di un tramonto sopra i colli, 
sangue sopra le strade e le piazze, 
dolore di cuori spezzati,  
putridume di tedio e di lacrime. 

Un fiume abbraccia il sobborgo
come una  mano gelida
che palpi nelle tenebre: 
sulle sue sponde le stelle 
si vergognano di specchiarsi. 

Le case nascondono i desideri 
dietro le finestre luminose, 
mentre fuori il vento  porta
un po’ di fango a ogni rosa

Lontano, la nebbia dell’oblio,
un fumo spesso di steli rotti
e il campo, il campo verde,
in cui ansimano i buoi e gli uomini sudati


Io sto qui, sbocciato tra le rovine,
a mordere solo tutte le tristezze,
come se il pianto fosse un seme
e io l'unico solco della terra.

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