Sobborgo senza Luce
di Pablo Neruda
Se ne va la poesia delle cose
O può condensarla la mia vita?
Ieri – guardando l’ultimo crepuscolo,
ero una macchia di muschio tra le rovine.
Le città – fuliggini e vendette
Lo lordura grigia dei sobborghi
Il lavoro che incurva le spalle
Il capo dagli occhi annebbiati
Sangue di un tramonto sopra i
colli,
sangue sopra le strade e le
piazze,
dolore di cuori spezzati,
putridume di tedio e di lacrime.
Un fiume abbraccia il sobborgo
come una mano gelida
che palpi nelle tenebre:
sulle sue sponde le stelle
si vergognano di specchiarsi.
Le case nascondono i desideri
dietro le finestre luminose,
mentre fuori il vento porta
un po’ di fango a ogni rosa
Lontano, la nebbia dell’oblio,
un fumo spesso di steli rotti
e il campo, il campo verde,
in cui ansimano i buoi e gli uomini
sudati
Io sto qui, sbocciato tra le rovine,
a mordere solo tutte le tristezze,
come se il pianto fosse un seme
e io l'unico solco della terra.
a mordere solo tutte le tristezze,
come se il pianto fosse un seme
e io l'unico solco della terra.
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