venerdì 4 settembre 2015

Un sogno sbagliato ma pulito

"...di tutti gli Eroi che hanno popolato l'Olimpo di quasi due generazioni di giovani, il solo scampato alla strage della delusione e' stato "il Che", Guevara. Non per i suoi pensieri e idee, ma per i suoi comportamenti, e cioe' per essere stato quello che della delusione ha voluto pagare, per tutti, il conto. Io non ho conosciuto Guevara. Ma credo che il testimone piu' attendibile della sua personale vicenda sia stato il giornalista francese Regis Debray che per un tratto di strada la condivise e ne trasse una conclusione che ritengo giusta: e cioe' che quando lascio' Cuba per imbarcarsi nella sua disperata avventura, Guevara sapeva benissimo che quell'avventura era disperata e l'avrebbe fatalmente condotto alla morte, ma la morte era proprio quello che lui desiderava come l'unica possibile e dignitosa conclusione di una vita come la sua, vissuta all'insegna dell'Utopia. Non risulta affatto che fu Castro a spingervelo come qualcuno sospetto' e insinuo'. Guevara non poteva dargli alcun fastidio perche' non era uomo di potere che potesse insidiare il suo. Era uomo di Rivoluzione, che mai si sarebbe rassegnato ad una comoda esistenza di ben pasciuto gerarca. Doveva tornare alla Rivoluzione, pur consapevole della sua impossibilita' in Paesi che lui ben conosceva, ma appunto proprio per questo: per cercare una morte coerente con la sua vita. Se le cose stanno cosi' (ed io sono convinto che cosi' stiano), mi pare giusto che, fra tutti gl'idoli infranti della Grande Palingenesi sognata dai nostri figli e nipoti, "il Che" sia l'unico a possedere i titoli che lo rendono degno di scampare alla strage. Avessi trenta o quarant'anni di meno, anch'io forse avrei nel mio modesto appartamento una stanza attrezzata a mausoleo del Che, e lo conserverei come souvenir di un Sogno sbagliato, ma pulito, e comunque pagato. E' a coloro che non vogliono mai pagare nulla che va tutto il mio disprezzo.*
Montanelli Indro
Dall'Archivio Storico del Corriere

venerdì 8 maggio 2015

Il tempo dell'attesa

Ultimamente mi colpisce in particolare l'ansia che abbiamo tutti di riempire il tempo.
Scalpitiamo frenetici quando dobbiamo aspettare, anche pochi minuti e ci assale l'ansia del tempo perduto.
Io sono la prima a farlo. Ho sempre:
- un libro da bagno
- un libro da macchina
- un libro da borsetta
- un libro da comodino
Prima ancora che esistessero gli smartphone, le applicazioni e Facebook, mi assicuravo che ogni mio minuto fosse occupato da qualcosa.
Solo che qualche tempo fa mi è accaduta una cosa. Ogni anno pianifico una vacanza di gruppo molto bella, è un momento speciale per me, un regalo che da 6 anni a questa parte mi sono fatta quasi ogni anno.
A un certo punto mi sono accorta che il giorno della partenza era arrivato e io non lo avevo aspettato. Punto. Tutto qui.
Ho avuto la sensazione di essermi persa qualcosa, mi sono resa conto che, in alcune circostanze, l'attesa, l'anticipazione, è una parte del piacere e che la mia vita (troppo?) piena mi aveva privata di quel piacere. Un fantasticare pallido, in una giornata uggiosa, un lampo giallo in una sala d'attesa, un sorriso lieve a un semaforo un martedì mattina.
E ora, quando mi capita di aspettare, inseguo un pensiero felice, l'anticipazione di qualcosa di bello.
E il tempo dell'attesa è di nuovo mio.

venerdì 17 aprile 2015

Che cos'è un padre?

Sono stata colpita da una frase che mi è stata detta ultimamente da una persona cara.

"Per me lui non è mio padre. Non lo è mai stato. Non so come sia avere un padre."

Allora mi sono domandata che cosa voglia dire essere un padre. Credo che ancora, nell'immaginario collettivo essere madre è più chiaro che essere padre.
La madre è quella che ti accudisce, ti consola, ti accoglie, sempre e comunque, che ti ha dato la tua vita e ti darebbe la sua. Il padre anche?
Non saprei dirlo. Io so come è stato mio padre. Era un padre ingombrante, presente, rumoroso, qualche volta invadente.
Il suo modo di occuparsi di noi era provvedere economicamente per la famiglia. Non ha mai avuto un lavoro dipendente e ogni giorno, diceva, doveva inventarsi il suo guadagno, inseguire i clienti, controllare che lo pagassero, trattare con persone difficili, e certo non era il suo forte.
Ho mai potuto pensare di lui che non fosse un padre? Non un buon padre, semplicemente un padre. Ancora, una volta, che vuol dire?

Forse associo il padre, mio padre alla dignità dell'onestà e del lavoro. 
Mio padre aveva orrore dei debiti, per lui era un problema persino fare le rate, e quando ha potuto farlo ha estinto il mutuo della casa, anche quel debito, ormai così comune per lui era inaccettabile.
La mia famiglia non è mai stata benestante e io mi sono mantenuta agli studi con il mio stipendio da impiegata diplomata, quando mio padre mi vedeva tornare la sera dall'ufficio, dopo nove o dieci ore di lavoro e mi vedeva stanca, china sui libri, mi diceva:
- Se non te la senti, puoi lasciare, papà te la paga l'università.
Ma io scuotevo la testa, ci tenevo a non pesare. Ce la facevo a lavorare e studiare. Ho tenuto duro.

Quando mi sono laureata ha detto che è stato il giorno più bello della sua vita. 
Non credo fosse vero, ma non importava. Credo che gli pesasse il fatto che avessi scelto di pagarmi gli studi, che sentisse di non aver fatto abbastanza per me. 
E io so che molti pensano che il lavoro, la fatica, non sia di per sé un valore, e forse non lo è, ma per me sapere provvedere per me stessa, non dovere niente a nessuno, continua a essere, ancora oggi, qualcosa di cui essere fiera, e questo me lo  ha trasmesso mio padre.

Quando papà è morto era ottobre, aveva smesso di lavorare solo qualche mese prima, aveva 81 anni.
Un suo amico ha detto al suo funerale: è morto giovane, come voleva.
E può darsi che sia questa la chiave, che vuol dire avere un padre, io l'ho saputo il giorno in cui non l'ho avuto più. 
Era l'uomo di cui cercare la mano nei momenti più bui, più di quanto non avrei cercato l'abbraccio di mia madre, protezione, prima della consolazione, c'era stato sempre quando avevo avuto bisogno di sentirmi forte.  E ora non più, mai più.
Eppure certe volte penso: ho tanto di mio padre dentro di me, che per staccarmi da lui che lui sia morto non basta, dovrò morire anche io. 

E forse neanche allora, e come quando da piccola  avevo paura, dall'altra parte troverò la sua mano ad aspettare la mia.

giovedì 9 aprile 2015

Gli amici si vedono nel momento della felicità

Dobbiamo smetterla di alimentare un'annosa menzogna, quella secondo la quale gli amici di vedono nel momento del bisogno.
L'amicizia vera, secondo questa vecchia e diffusa credenza, si vedrebbe quando siamo nella disgrazia, quando stiamo male. I veri amici accorrono al nostro fianco quando siamo in lacrime, quando non ne possiamo più.

Nulla di più falso. Che ci vuole, dico io, che ci vuole? A meno che non siamo specialisti della lagna multipla, se siamo dotati di un minimo di autoironia, in grado di pagarci una pizza, o abbiamo un forno funzionante, troveremo con la massima facilità qualcuno che sia al nostro fianco per sentirci sciorinare le nostre difficoltà, sostenendoci e godendo di una serie di vantaggi secondari non da poco:

- pensare: meglio a lui che a me;
- sentirci saggi
- farci apprezzare di più quello che abbiamo
- sentirci utili
- scansare cene a cui non avevamo voglia di andare con la scusa: "sai, il mio amico sta tanto male..."

e potrei continuare all'infinito.

Gli amici, quelli veri, sono quelli che ti restano accanto nel momento della felicità. Sono quelli che, senza provare neanche un minimo di larvata invidia possono vederti volare vari metri sopra il cielo, sentirti sciorinare la magnificenza del partner di turno, decantare la meraviglia del posto in cui sei in vacanza, del meraviglioso lavoro che hai finalmente trovato, che realizza tutti i tuoi sogni, la tua illimitata potenzialità creativa e ti fa anche rimorchiare, senza doversi ripetere in continuazione mentalmente "tanto non dura, tanto passa...".

Ed è proprio il fatto che conosciamo questa verità che, secondo me, ci spinge a nascondere i nostri successi, a rispondere raramente o mai "benissimo" a chi ci chiede come stiamo, e a andare in giro come araldi del lamento (sapendo che NESSUNO dei nostri cari amici prenderà sul serio i nostri post trionfali su Facebook).

Perché preferiamo essere lamentosi e circondati di umana solidarietà che svettare felici e solitari nel vento.

Concludendo, se vogliamo sapere chi ci è amico davvero, nella remota ipotesi dovesse capitarci di essere felici, guardiamoci attorno e vediamo chi è restato.

E comunque, sappiate, io sto DAVVERO male.

lunedì 6 aprile 2015

Gli amori degli altri

Gli amori degli altri sono sempre banali. E noi sapremmo che dire e che fare.
Gli amori degli altri sono sempre facili da tagliare, chiudere, mandare all'aria. Sono aritmetici
da valutare e giudicare.
Gli amori degli altri sono dei libri aperti. E noi conosciamo bene il sommario, e la parola fine. Non abbiamo dubbi su come si sfoglino le pagine. Non ci sono colpi di scena, per noi è già tutto previsto.
Gli amori degli altri non ci fanno soffrire. Ci fanno ridere, sono un film già visto.
Gli amori degli altri sono sempre sbagliati.
E non ci perderemmo un attimo.
Perché sappiamo che se non funziona non funzionerà.
E se non è vicino a te è perché non vuole starci.
E se non ti chiama è perché non vuole chiamarti.
Non ci sono paure nascoste. O blocchi profondi. Oscuri nemici. O persino fattucchiere che tramino nell'ombra. In amore se non è "sì" è "no". Il "forse" non esiste.
Sono semplici gli amori degli altri.
Quale meravigliosa fortuna, che a noi, gli amori degli altri, non capitino mai.

venerdì 9 gennaio 2015

Quando, quando?

Concerto di Pino Daniele il 13 dicembre a Roma.
Come al solito mi decido all'ultimo momento, trovo biglietti sfigati e costosi. Mi dico: è un concerto straordinario, con la band storica... Non fa niente, li compro lo stesso.
Poi sopraggiungono problemi di lavoro, e prendo in considerazione di lasciar perdere, rivendere i biglietti, tanto, ci vado la prossima volta!
Invece alla fine riesco a sistemare. Passo una serata stupenda, Pino Daniele è meraviglioso, trascinante e commovente, concede due bis.
Tutta la serata sono continuamente in preda all'emozione, mi dico che non mi perderò neanche il prossimo e che se ci fossero ancora i biglietti andrei anche a Napoli quattro giorni dopo.

E stamattina ho pensato, quando credi di sapere, di aver capito, perché hai già perso tante persone, tante cose belle, hai già dato per scontati troppi domani che non ci sono stati, rischi di ricadere nello stesso errore.
Quello che ami è quello che conta, anche se è scomodo, anche se costa tanto. Quello che ami è quello che conta, perché non sai se amerai ancora.
Pino, spero che i concerti ci siano anche di là, appena arrivo cerco te e Fabrizio.