Knut era partito dal villaggio alla fine della notte. Si era
preparato con cura alla lunga assenza per il rituale. Ther-kah l’aveva vestito
lei stessa con la reverenza che si deve a un anziano del villaggio e la
devozione che si prova per lo sciamano. Il giovane corpo muscoloso della
ragazza si muoveva come in una danza nella tunica di pelli cucite insieme che
ogni tanto faceva balenare la pelle bianca e odorosa di muschio e di carne.
Solo quando era certa di non essere osservata
sollevava lo sguardo verso Knut
alto ed austero. Ma la capanna di pelli era angusta e spesso, con un sussulto,
la ragazza toccava, senza volerlo, lo sciamano il cui copricapo sfiorava il
tetto della capanna.
Per Ther-Kah e per tutti gli abitanti del villaggio Knut
emanava mistero e magia. Aveva vissuto più a lungo di tutti ed era ancora forte
e sano. Era stato lui ad accendere il primo fuoco per molti dei capifamiglia
della tribù e aveva tatuato personalmente molti degli Agredut, i capivillaggio.
Ther Kah tremava mentre faceva scivolare premurosamente i
pantaloni di pelle conciata sulle gambe tatuate di Knut. Dopo avergli infilato
i calzari la ragazza prese con entrambe le mani la sopravveste di cotenne
marrone brunito tenute insieme dai fili di tendine ingialliti e rimase per un
istante con la veste sospesa davanti alla propria testa china, con le braccia
vanamente tese. Non poteva chiedere a Knut di inginocchiarsi ma neanche
infilare la sopravveste a un uomo tanto più alto di lei. Knut si accovacciò, lo
sguardo fiero dei suoi occhi incassati nel viso, dritto innanzi a sé, il naso
sottile sfiorò la fronte quadrata e piatta della ragazza che rabbrividì e
continuò la vestizione in silenzio.
Knut si era allontanato dal villaggio accompagnato dal suono
basso e ripetuto dei tamburi. La valle era immersa nella luce dell’ultimo
quarto di luna. Le pendici delle montagne che nascondevano gli dei erano nere
di ombre sottili. Il fuoco sacro lanciava i suoi ultimi bagliori al centro del
villaggio illuminando di luce rossastra gli abitanti, ciascuno in ginocchio
accanto alla propria capanna.
Knut avvolto nella mantella di erbe intrecciate, con in
spalla la faretra, si allontanò lentamente nella radura. Aveva con sé frecce,
quasi tutte preparate, un arco robusto, un’ascia, un pugnale ed un ramo di
tiglio per rifinire gli utensili lungo il cammino.
L’alba fu rosa e il sole lentamente ascese. Knut guardò
un’ultima volta la valle prima di allontanarsene. Aveva riempito d’acqua la gerla
e di grano i recipienti di betulla che aveva con sé e si preparava alla sua
lunga assenza alla ricerca degli dei.
A tratti tornava alla sua mente la visione che aveva avuto
qualche notte prima. Sdraiato per terra bocconi con gli aghi conficcati sotto
la pelle aveva visto prima il grande bre, il cervo rosso dalle grandi corna che
si arrampicava sulla collina, poi aveva sentito le proprie membra irrigidirsi,
divenire, fredde e dalla punta delle dita aveva cominciato a salire una nebbia
bianca. Gli occhi serrati e chiusi, immoti, tutto precipitava in un baratro di
bianca tenebra. A quel punto Knut senza occhi, Knut il sasso, aveva saputo che
c’erano mille soli e mille ere, un orrore di abisso e di oblio.
Il giorno breve si stava già consumando, era stanco, si era
inoltrato nella foresta di alte conifere e lo aspettava ancora un lungo cammino
prima della montagna alta, dove avrebbe incontrato Etzaluk, lo sciamano dei
sogni, che gli avrebbe rivelato il significato di quella strana apparizione. Si
addormentò.
Si svegliò nel pieno dell’alba. Gli alberi fitti avevano
protetto a lungo l’oscurità. Knut si mise rapidamente in cammino. Gli abeti lo
affiancavano e lo fronteggiavano ad ogni passo e la foresta era un continuo
frinire di uccelli, volare di foglie, gorgogliare di acque. Il freddo
attanagliava lo sciamano nonostante le vesti calde e i tatuaggi di protezione.
All’improvviso sentì un rumore. Istintivamente, afferrò una freccia nella
faretra alle proprie spalle, la sfilò e la strinse fra i denti. Afferrò poi rapidamente
il grande arco e ripresa la freccia si preparò al tiro. Il grande cervo gli fu
davanti in un lampo, gli zoccoli sollevati e la testa regale all’indietro. Knut
lo colpì esattamente al centro del petto.
Il cerimoniale per scuoiare il cervo era terminato. Si
trascinava dietro il corpo pesante e ingombrante in una scia di sangue sempre
più sottile. Arrivò alla pendice della montagna al tramonto e cominciò ad
arrampicarsi a fatica, con la bestia sulle spalle. La visione gli tornò
d’improvviso alla mente, quando sentì una fitta fortissima sotto la spalla
sinistra. Si mise a riparo in una fenditura della roccia. Lasciò cadere il
cervo e quando si toccò la schiena, aveva una freccia conficcata sotto una
scapola. Il dolore era acutissimo, si sentiva sempre più debole e il braccio
perdeva di sensibilità. Sentiva gli inseguitori sempre più vicini e si mise a
strisciare sulla roccia in cerca di un rifugio.
La neve cominciò a scendere prima lenta poi sempre più
furiosamente. Knut scivolò dalla roccia e finì nel lago sottostante. Sentiva il
sangue fluire via mentre l’acqua fredda del lago cullava il suo dolore
impotente. Knut lo sciamano stava morendo.
“Helmut, ne ho abbastanza di questo sentiero, facciamo una
deviazione verso il lago”. Helmut guardò la moglie spazientito. Queste vacanze
in montagna lo estenuavano ma per Erika erano una prova di sopravvivenza, Ogni
mattina lo costringeva ad alzarsi all’alba, si infilavano una tuta da
ginnastica e correvano a balzelloni intorno al vecchio albergo alpino. Lei altissima
e magra, i biondi capelli corti perfetti, lo guardava con gli occhi sottili e
il naso a punta con una specie di disapprovazione. Lui cercava di correre
tenendosi il meno possibile stretto in vita l’elastico della tuta di flanella
celeste pallido che lei gli aveva regalato. Era un uomo tondo, dai pensieri
tondi. I suoi occhi erano azzurramente spalancati su sua moglie, quasi dipinti
sul suo naso tondeggiante da buon borghese di Norimberga.
E quasi sempre lo portava fuori strada. Con Erika, era
inevitabilmente una vita fuori strada. La seguì anche questa volta.
Costeggiavano il grande ghiacciaio, quando Erika lanciò un urlo: “Là, guarda!”.
La testa e la spalle di un uomo emergevano dalla superficie
gelata del ghiacciaio di Similaun.
Dopo 5000 anni Knut lo sciamano, Knut il sasso tornava tra
la gente.