Il
giardino della casa di mia madre era immerso nel silenzio della sera. Mi
stupisco sempre a guardarlo, è un giardino che non somiglia alla casa, non
somiglia neanche a mia madre. Ha un sapore antico, di rose rampicanti, iris
profumati sparsi alla rinfusa. Le aiuole sono delimitate da sassi grigi che
sembrano essere stati trascinati dalla marea, come per caso. Ma conosco mia
madre, e immaginavo la cura che era stata necessaria per produrre
quell’impressione di naturalezza.
Al
centro del giardino c’è il pezzo più stupefacente di tutto l’insieme, una
statua antica, credo dell’ottocento, che raffigura due amanti, abbracciati,
avvinti. L’edera si arrampica su tutto il piedistallo, ma mia madre non
permette che vada oltre e si occupa della potatura con precisione maniacale.
-
Ah, sei qui?
Era
arrivata alle mie spalle all’improvviso. Come quando ero bambino e veniva a
vedere se stavo facendo i compiti o leggendo Topolino. Proprio come allora.
- E’
fresco, ed è tardi. Faresti meglio a rientrare, domani ti aspetta una giornata
intensa.
-
Hai sempre avuto il gusto dell’eufemismo mamma.
Sorrise,
ravviandosi i capelli biondi con la bella mano affusolata. Le sue mani erano
sempre state affascinanti. Qualunque cosa facessero.
-
Suvvia, che sarà mai. Non sei il primo uomo che si sposa.
Sentii
ironia nella sua voce.
-
Sei contraria, vero?
- La
scelta è tua, tu devi essere convinto. Io non c’entro nulla.
Mi
voltai di nuovo verso il giardino per cercare le parole da dire. Come
spiegarle? Come raccontarle tutto il disagio e la tristezza che mi ha dato la
separazione tra lei e nostro padre? Come dirle delle notti passate da me e
Barbara a cercare di capire?
- Io
credo nel matrimonio.
- Solo
questo conta.
- Tu
non ci credi, vero mamma? Ti sembro ridicolo?
-
Perché dici questo?
Per
un attimo mi era sembrata sinceramente turbata.
- Ti
voglio bene e rispetto le tue scelte. Anche io mi sono sposata.
-
Già, ma poi hai detto che è stato un errore. Un errore da non rifare.
- Mi
riferivo al contratto, alla cerimonia. Non al rapporto con tuo padre, tantomeno
alla nascita tua e di Barbara.
- E
allora, se il rapporto con papà non è stato un errore, perché è finito?
-
Era giusto per allora. Poi non lo è stato più.
- Ah
be’, troppo comodo!
-
Che vuoi dire?
- Mi
stai bene ora, ma tra qualche tempo non so, vediamo…
Sorrise.
Uno di quei sorrisi larghi ed entusiasmanti che facevano cadere uomini e donne
ai suoi piedi. Un pericolo pubblico, mia madre. Anche a quasi sessant’anni. Sentii
una fitta di gelosia.
- Mi
sa che dobbiamo sederci.
Sedette
sulla panca di legno riverniciata da poco. E’ una vecchia panca, la ricordo sin
da bambino. Avvertii la stessa
sensazione di legno vecchio e umido, lo stesso odore di resina dal cespuglio
dietro le nostre spalle.
-
Tranquillo, non voglio raccontarti la storia della mia vita.
- La ascolterei volentieri mamma.
-
Frottole. Queste cose si fanno “volentieri” solo nella fase dell’innamoramento
e tu non sei più nella fase dell’”amore per la mamma”.
Frottole.
Chiunque altro avrebbe detto “balle” o “cazzate”. Lei aveva detto “frottole”
col suo lieve accento e la voce calda e profonda ed era sembrata la cosa più
naturale del mondo, non un termine desueto da libro di testo.
-
Quando avevo sedici anni ero una ragazzina come tante altre, solo più curiosa e
più vivace. I miei erano terrorizzati. Temevano che sarei scappata con qualche
teppistello o qualche hippy.
Restai
in silenzio. Sapevo che così non era stato. Ma che cosa era stato, quello non
lo sapevo.
- Mi
mandarono in vacanza da una nostra zia che abitava in città. Lì conobbi Sergio,
era un giovane storico dell’arte. Ci innamorammo. Chiesi e ottenni dai miei
genitori di poter finire gli studi in città. Sotto la guida di Sergio mi
laureai presto e bene e iniziai la mia carriera di curatrice di mostre sotto la
sua ala protettrice.
-
Poi che successe? Perché vi siete lasciati?
-
Conobbi tuo padre, era un uomo molto affascinante. Rispetto a Sergio era più…
sapeva vivere, diciamo.
-
Non capisco.
- Io
ero comunque ancora molto “paesana”. Un uomo che conosceva un certo tipo di
mondo, che sapeva muoversi… Mi dava sicurezza. Anche Sergio me ne dava, in un
certo senso. Solo che era una sicurezza diversa. Sergio mi dava sicurezza per
crescere, tuo padre per vivere, per mettere su una famiglia.
-
L’uomo da sposare.
- In
un certo senso, che male c’è? Lo amavo, era la persona giusta.
- E
poi?
- Ci
siamo sposati, siete nati voi, siamo stati felici. Nel frattempo, vostro padre
era diventato una personalità di spicco nel suo settore e io avevo raggiunto
una certa fama nel mio. Non eravamo più la ragazzina di paese e il brillante
professionista, eravamo un uomo maturo e affascinante e una donna…
Si
interruppe come se continuare le costasse uno sforzo.
-
Una donna che voleva attenzione.
- E
papà non te ne dava?
-
Sì, tuo padre era pieno di attenzioni, ma non per me. Non più.
-
Che vuoi dire?
-
Sei grande ormai. La storia con Arianna era iniziata prima della nostra
separazione.
-
Non è vero!
-
Non ha importanza. Con tuo padre ci ridiamo su, gli dico sempre: voi uomini
volete una donna per guadagnare i soldi e una ragazza per spenderli.
-
Sì, e tu allora? Sei una santa?
-
No, ti ho detto che volevo attenzioni, e ne ho avute. Dopo tuo padre c’è stato
Pietro, un uomo solido, forte, affettuoso, che mi ha dato serenità e calore. Alla
fine del matrimonio con tuo padre mi sentivo svuotata, a pezzi.
- Ma
anche con Pietro è finita.
-
Lui voleva ricostruire una famiglia. Io l’avevo già avuta. Non era giusto che
io lo trattenessi.
- E
ora?
-
Che ti importa? Vuoi sapere se sono sola?
-
Vorrei sapere se c’è qualcuno.
- Si
c’è. Contento?
-
Non lo so. E lui non la vuole una famiglia?
-
Potrebbe essere una lei.
Sobbalzai,
mio malgrado.
-
Scherzo, ma tutto è possibile, sai.
-
Non mi stupirebbe nulla da te.
-
Non era tua intenzione, ma lo prendo come un complimento.
- Ti
diverte scandalizzarmi?
-
No, ma mi piace sorprenderti. E’ la quintessenza dell’amore. Ciò che amiamo ha
il potere di sorprenderci sempre. Ciò che non amiamo più scivola nella banalità
del garantito.
-
Allora?
La
incalzai, come se la stessi interrogando.
-
No, non vuole una famiglia. Ha avuto anche lui la sua e poi… non ho più l’età.
Stiamo bene insieme. Ci teniamo compagnia e… abbiamo una buona intimità.
-
Mamma, per favore!
Come
molti figli conservavo un sano disgusto per la vita sessuale dei miei genitori,
a maggior ragione se con terzi estranei.
-
Non sono ancora da buttare, sai?
La
guardai. No, non era da buttare. Per certi versi non era mai stata più bella.
Le rughe sottili sembravano incorniciarla più che segnarla. Le labbra avevano
perso un po’ del loro turgore ma i contorni restavano netti, anche se quello
che la rendeva bellissima era il modo in cui parlava, come se l’aria le
appartenesse.
-
Questo solo per dirti, Marcello, che per me l’amore segue l’anima. Se fossi
rimasta una ragazzina ignorante e curiosa credo che sarei rimasta con Sergio,
se per me la famiglia “normale” fosse rimasta un sogno e una priorità di vita,
sarei rimasta con tuo padre. Se avessi avuto ancora bisogno di attenzione,
venerazione e amore incondizionato, sarei rimasta con Pietro. Ciascuna di
queste storie è stata importante per me. E’ stata vita, crescita, è stata
tutto. Poi, a un certo punto, ha smesso di esserlo. E ha smesso di esserlo
proprio perché ha assolto il suo compito. Come se ogni storia avesse in sé
anche la propria fine.
-
Vuoi dire che l’amore eterno non esiste?
-
Tutt’altro. L’amore ha bisogno almeno dell’illusione dell’eternità. Ma perché
l’amore tra due persone duri per sempre, l’evoluzione di tutti e due deve
andare in direzioni che siano… compatibili. Che si integrino. Oppure…
-
Oppure?
Mia
madre guardò la statua dei due amanti abbracciati.
-
Oppure se nessuno dei due cambia, se si resta immobili.
-
Io, credo che il tuo sia un ragionamento cinico e opportunista, mamma. L’amore
è impegno. Io mi sposo perché credo in questo impegno. Lavorerò con Lucia
perché il nostro rapporto cresca insieme a noi, perché continui ad avere un
senso e non lascerò che sia la vita a decidere per me.
-
Sono felice per te se credi che sia possibile. Lo credo anche io, in un certo
senso. Solo che finora non mi è successo. O non ci sono riuscita.
Restammo
in silenzio. Un grillo aveva iniziato da poco il suo canto nuziale. Mi godetti
quell’istante, non c’è intimità più grande che condividere il silenzio con
qualcuno. Un silenzio pieno come una promessa.
- E
da che lo capisci? Le chiesi dopo un po’
-
Capisci cosa?
-
Che è la persona giusta per quel momento. Hai dei parametri? Un test?
Ridemmo
insieme. Poi d’improvviso lei si fece seria.
- Ho
un metodo infallibile.
-
Sono curioso.
- Lo
capisco dall’odore.
Ancora
oggi non ho capito se scherzasse oppure no e non ho mai voluto chiederglielo.
Era tardi, mi alzai per andare a dormire.
Lei
sollevò il viso verso il mio. La baciai sulla fronte, come si fa con i bambini.
-
Buonanotte mamma.
-
Buonanotte sussurrò.
Immaginai
di vedere una lacrima nei suoi occhi, ma forse non c’era.
Prima
di rientrare mi voltai di nuovo a guardarla. Stava fissando la statua degli
amanti, quella che difendeva dai rampicanti, perché la vita la lambisse, senza
corromperla.