mercoledì 26 dicembre 2012

Oltre il fiume


Jonas spalancava gli occhi sulla notte di velluto.
Da fuori arrivavano gli odori del cibo cotto nelle capanne. Il lamento di nonna Ellie si levava dal letto a intervalli regolari. A un certo punto si era interrotto. Jonas si era avvicinato al letto preoccupato.
- Nonna, come stai?
- Sto bene Jonas, sto bene…
Jonas guardò sua nonna dubbioso, la luce della lampada e il fuoco del camino la illuminavano appena, la pelle scura e lucida era tesa, nonostante la nonna fosse vecchia. Aveva quasi 50 anni.
- Passami la spazzola Jonas, mi voglio pettinare.
- Nonna…
- La spazzola, Jonas.
Jonas prese la spazzola dal tavolino accanto al letto e la porse a Ellie, che sorrise.
- Grazie. E ora aiutami a tirarmi su.
Jonas si chinò verso di lei, odorava di febbre e di terra. La prese a fatica da sotto le ascelle e la sollevò.
Guardò sua nonna che si pettinava con cura. L’ultima volta che l’aveva vista fare così era stato per la festa di Eliah.
- Sistemami la camicia, e passami il libro.
Jonas guardò la vecchia Bibbia sgualcita. La padroncina Emma l’aveva regalata a Ellie una volta, tornando dalla messa, e per Ellie era diventata un dono prezioso da cui non separarsi mai. Sembrava che quel regalo fosse una ricompensa sufficiente per le frustate ricevute, le violenze di suo padre, che aveva stuprato e venduto una sua figlia quando aveva appena 13 anni. La mamma di Jonas, almeno, non l’aveva venduta.
- Tieni, nonna.
- Apri la finestra Jonas, stanno venendo a prendermi.
- No, nonna, stai tranquilla. Ci sono io.
Ellie sorrise.
- No, tu stai tranquillo. Mi vengono a prendere. Era tanto che aspettavo. Aiutami a mettermi giù.
Jonas si chinò ancora. La sistemò nel letto, accomodandole le coperte, attento a non spettinarla e a non sgualcirle la camicia.
- Cantano… Apri la finestra.
- E’ aperta, nonna.
Ellie sorrise e chiuse gli occhi.
Jonas attese qualche minuto. Poi si avvicinò, non c’era più il respiro.
La guardò ancora una volta, le braccia scure piegate, le mani chiuse intorno alla Bibbia, il volto finalmente sereno.
Ma lui l’avrebbe ricordata sempre china sul cotone, mentre cantava dolcemente con la sua voce profonda e vibrante; che lo chiamava a sé agitando un giocattolo di legno. Ma ormai era tardi.
Un fischio lungo e acuto proveniva dal fiume. Thomas e Noah lo stavano aspettando accanto alla zattera. Non avrebbe salutato nessun altro prima di andare a Nord.
Si avvicinò nuovamente a sua nonna e le sfilò la bibbia dalle mani. La soppesò un attimo tra le dita prima di gettarla nel fuoco.
Poi saltò dalla finestra aperta.

domenica 9 dicembre 2012

COME L’EDERA


Il giardino della casa di mia madre era immerso nel silenzio della sera. Mi stupisco sempre a guardarlo, è un giardino che non somiglia alla casa, non somiglia neanche a mia madre. Ha un sapore antico, di rose rampicanti, iris profumati sparsi alla rinfusa. Le aiuole sono delimitate da sassi grigi che sembrano essere stati trascinati dalla marea, come per caso. Ma conosco mia madre, e immaginavo la cura che era stata necessaria per produrre quell’impressione di naturalezza.
Al centro del giardino c’è il pezzo più stupefacente di tutto l’insieme, una statua antica, credo dell’ottocento, che raffigura due amanti, abbracciati, avvinti. L’edera si arrampica su tutto il piedistallo, ma mia madre non permette che vada oltre e si occupa della potatura con precisione maniacale.
- Ah, sei qui?
Era arrivata alle mie spalle all’improvviso. Come quando ero bambino e veniva a vedere se stavo facendo i compiti o leggendo Topolino. Proprio come allora.
- E’ fresco, ed è tardi. Faresti meglio a rientrare, domani ti aspetta una giornata intensa.
- Hai sempre avuto il gusto dell’eufemismo mamma.
Sorrise, ravviandosi i capelli biondi con la bella mano affusolata. Le sue mani erano sempre state affascinanti. Qualunque cosa facessero.
- Suvvia, che sarà mai. Non sei il primo uomo che si sposa.
Sentii ironia nella sua voce.
- Sei contraria, vero?
- La scelta è tua, tu devi essere convinto. Io non c’entro nulla.
Mi voltai di nuovo verso il giardino per cercare le parole da dire. Come spiegarle? Come raccontarle tutto il disagio e la tristezza che mi ha dato la separazione tra lei e nostro padre? Come dirle delle notti passate da me e Barbara a cercare di capire?
- Io credo nel matrimonio.
- Solo questo conta.
- Tu non ci credi, vero mamma? Ti sembro ridicolo?
- Perché dici questo?
Per un attimo mi era sembrata sinceramente turbata.
- Ti voglio bene e rispetto le tue scelte. Anche io mi sono sposata.
- Già, ma poi hai detto che è stato un errore. Un errore da non rifare.
- Mi riferivo al contratto, alla cerimonia. Non al rapporto con tuo padre, tantomeno alla nascita tua e di Barbara.
- E allora, se il rapporto con papà non è stato un errore, perché è finito?
- Era giusto per allora. Poi non lo è stato più.
- Ah be’, troppo comodo!
- Che vuoi dire?
- Mi stai bene ora, ma tra qualche tempo non so, vediamo…
Sorrise. Uno di quei sorrisi larghi ed entusiasmanti che facevano cadere uomini e donne ai suoi piedi. Un pericolo pubblico, mia madre. Anche a quasi sessant’anni. Sentii una fitta di gelosia.
- Mi sa che dobbiamo sederci.
Sedette sulla panca di legno riverniciata da poco. E’ una vecchia panca, la ricordo sin da bambino.  Avvertii la stessa sensazione di legno vecchio e umido, lo stesso odore di resina dal cespuglio dietro le nostre spalle.
- Tranquillo, non voglio raccontarti la storia della mia vita.
-  La ascolterei volentieri mamma.
- Frottole. Queste cose si fanno “volentieri” solo nella fase dell’innamoramento e tu non sei più nella fase dell’”amore per la mamma”.
Frottole. Chiunque altro avrebbe detto “balle” o “cazzate”. Lei aveva detto “frottole” col suo lieve accento e la voce calda e profonda ed era sembrata la cosa più naturale del mondo, non un termine desueto da libro di testo.
- Quando avevo sedici anni ero una ragazzina come tante altre, solo più curiosa e più vivace. I miei erano terrorizzati. Temevano che sarei scappata con qualche teppistello o qualche hippy.
Restai in silenzio. Sapevo che così non era stato. Ma che cosa era stato, quello non lo sapevo.
- Mi mandarono in vacanza da una nostra zia che abitava in città. Lì conobbi Sergio, era un giovane storico dell’arte. Ci innamorammo. Chiesi e ottenni dai miei genitori di poter finire gli studi in città. Sotto la guida di Sergio mi laureai presto e bene e iniziai la mia carriera di curatrice di mostre sotto la sua ala protettrice.
- Poi che successe? Perché vi siete lasciati?
- Conobbi tuo padre, era un uomo molto affascinante. Rispetto a Sergio era più… sapeva vivere, diciamo. 
- Non capisco.
- Io ero comunque ancora molto “paesana”. Un uomo che conosceva un certo tipo di mondo, che sapeva muoversi… Mi dava sicurezza. Anche Sergio me ne dava, in un certo senso. Solo che era una sicurezza diversa. Sergio mi dava sicurezza per crescere, tuo padre per vivere, per mettere su una famiglia.
- L’uomo da sposare.
- In un certo senso, che male c’è? Lo amavo, era la persona giusta.
- E poi?
- Ci siamo sposati, siete nati voi, siamo stati felici. Nel frattempo, vostro padre era diventato una personalità di spicco nel suo settore e io avevo raggiunto una certa fama nel mio. Non eravamo più la ragazzina di paese e il brillante professionista, eravamo un uomo maturo e affascinante e una donna…
Si interruppe come se continuare le costasse uno sforzo.
- Una donna che voleva attenzione.
- E papà non te ne dava?
- Sì, tuo padre era pieno di attenzioni, ma non per me. Non più.
- Che vuoi dire?
- Sei grande ormai. La storia con Arianna era iniziata prima della nostra separazione.
- Non è vero!
- Non ha importanza. Con tuo padre ci ridiamo su, gli dico sempre: voi uomini volete una donna per guadagnare i soldi e una ragazza per spenderli.
- Sì, e tu allora? Sei una santa?
- No, ti ho detto che volevo attenzioni, e ne ho avute. Dopo tuo padre c’è stato Pietro, un uomo solido, forte, affettuoso, che mi ha dato serenità e calore. Alla fine del matrimonio con tuo padre mi sentivo svuotata, a pezzi.
- Ma anche con Pietro è finita.
- Lui voleva ricostruire una famiglia. Io l’avevo già avuta. Non era giusto che io lo trattenessi.
- E ora?
- Che ti importa? Vuoi sapere se sono sola?
- Vorrei sapere se c’è qualcuno.
- Si c’è. Contento?
- Non lo so. E lui non la vuole una famiglia?
- Potrebbe essere una lei.
Sobbalzai, mio malgrado.
- Scherzo, ma tutto è possibile, sai.
- Non mi stupirebbe nulla da te.
- Non era tua intenzione, ma lo prendo come un complimento.
- Ti diverte scandalizzarmi?
- No, ma mi piace sorprenderti. E’ la quintessenza dell’amore. Ciò che amiamo ha il potere di sorprenderci sempre. Ciò che non amiamo più scivola nella banalità del garantito.
- Allora?
La incalzai, come se la stessi interrogando.
- No, non vuole una famiglia. Ha avuto anche lui la sua e poi… non ho più l’età. Stiamo bene insieme. Ci teniamo compagnia e… abbiamo una buona intimità.
- Mamma, per favore!
Come molti figli conservavo un sano disgusto per la vita sessuale dei miei genitori, a maggior ragione se con terzi estranei.
- Non sono ancora da buttare, sai?
La guardai. No, non era da buttare. Per certi versi non era mai stata più bella. Le rughe sottili sembravano incorniciarla più che segnarla. Le labbra avevano perso un po’ del loro turgore ma i contorni restavano netti, anche se quello che la rendeva bellissima era il modo in cui parlava, come se l’aria le appartenesse.
- Questo solo per dirti, Marcello, che per me l’amore segue l’anima. Se fossi rimasta una ragazzina ignorante e curiosa credo che sarei rimasta con Sergio, se per me la famiglia “normale” fosse rimasta un sogno e una priorità di vita, sarei rimasta con tuo padre. Se avessi avuto ancora bisogno di attenzione, venerazione e amore incondizionato, sarei rimasta con Pietro. Ciascuna di queste storie è stata importante per me. E’ stata vita, crescita, è stata tutto. Poi, a un certo punto, ha smesso di esserlo. E ha smesso di esserlo proprio perché ha assolto il suo compito. Come se ogni storia avesse in sé anche la propria fine.
- Vuoi dire che l’amore eterno non esiste?
- Tutt’altro. L’amore ha bisogno almeno dell’illusione dell’eternità. Ma perché l’amore tra due persone duri per sempre, l’evoluzione di tutti e due deve andare in direzioni che siano… compatibili. Che si integrino. Oppure…
- Oppure?
Mia madre guardò la statua dei due amanti abbracciati.
- Oppure se nessuno dei due cambia, se si resta immobili.
- Io, credo che il tuo sia un ragionamento cinico e opportunista, mamma. L’amore è impegno. Io mi sposo perché credo in questo impegno. Lavorerò con Lucia perché il nostro rapporto cresca insieme a noi, perché continui ad avere un senso e non lascerò che sia la vita a decidere per me.
- Sono felice per te se credi che sia possibile. Lo credo anche io, in un certo senso. Solo che finora non mi è successo. O non ci sono riuscita.
Restammo in silenzio. Un grillo aveva iniziato da poco il suo canto nuziale. Mi godetti quell’istante, non c’è intimità più grande che condividere il silenzio con qualcuno. Un silenzio pieno come una promessa.
- E da che lo capisci? Le chiesi dopo un po’
- Capisci cosa?
- Che è la persona giusta per quel momento. Hai dei parametri? Un test?
Ridemmo insieme. Poi d’improvviso lei si fece seria.
- Ho un metodo infallibile.
- Sono curioso.
- Lo capisco dall’odore.
Ancora oggi non ho capito se scherzasse oppure no e non ho mai voluto chiederglielo. Era tardi, mi alzai per andare a dormire.
Lei sollevò il viso verso il mio. La baciai sulla fronte, come si fa con i bambini.
- Buonanotte mamma.
- Buonanotte sussurrò.
Immaginai di vedere una lacrima nei suoi occhi, ma forse non c’era.
Prima di rientrare mi voltai di nuovo a guardarla. Stava fissando la statua degli amanti, quella che difendeva dai rampicanti, perché la vita la lambisse, senza corromperla.