domenica 12 febbraio 2012

Lettera di quando ancora ti amo per quando non ti amerò più

Caro amore mio, ti scrivo oggi che ancora ti amo, una lettera per quando non ti amerò più, perché, in qualche parte di me, avrò nostalgia di questa me stessa che credeva ancora in noi.
La scrivo perché so che rimpiangerai ogni cosa di questo amore che ancora senti e non avrai più. Rimpiangerai il mio sorriso, il mio sguardo e la luce che avevo negli occhi quando ti vedevo. Rimpiangerai le notti passate abbracciati, con i piedi intrecciati fino a farci formicolare le dita,  le nostre piccole intimità perdute di specchi condivisi e porte aperte.
Ti mancherà il tono con il quale rispondevo al telefono quando sapevo che eri tu a chiamare, la dolcezza con la quale ti accoglievo quando era tanto che non ci vedevamo.
Ti mancheranno i piccoli gesti e le carezze mentre mangiavamo, il nostro modo di prenderci in giro e i pomeriggi abbracciati sul divano. Ti mancheranno i piccoli racconti assurdi delle storie che ti fanno tanto ridere, i pensieri e le domande che non verrebbero in mente a nessun altro che a me.
Ti mancherà il modo in cui ti ascolto e solo io ti ascolto, veramente e profondamente, questo mio amarti senza avere bisogno di te che ora ti fa tanta paura. L'abisso della libertà di amare che ora ti dà vertigine, quando sarà lontano e perduto, ti sembrerà, come forse era, la tua ultima occasione per volare.
Ma sarò lontana e non potrai chiamarmi, perché non ti amerò più.

La saggezza

A 20 anni non ti rendi conto.
A 30 anni non ti rendi conto.
A 40 anni, finalmente arriva la saggezza.
E ti rendi conto di non renderti conto.

mercoledì 8 febbraio 2012

Verrà la Morte e Avrà i tuoi Occhi (Cesare Pavese)


Pare che secondo Bronnie Ware infermiera, che assiste i malati terminali,, nel libro “The Top Five Regrets of the Dying” (I maggiori cinque rimpianti delle persone che muoiono) l'aver dedicato troppo tempo al lavoro sia il secondo grande rimpianto dopo quello di non aver assecondato la propria personalità, le proprie aspirazioni, scegliendo di cedere alle pressioni sociali. Soprattutto gli uomini, in punto di morte, sembra si rammarichino di non aver dedicato abbastanza tempo agli affetti.
Io temo che dietro questa nostalgia ci sia qualcosa di più profondo e pernicioso.
Molti uomini che conosco non trascurano il lavoro a causa della famiglia, ma, seppure del tutto inconsapevolmente, nella maggior parte dei casi, trovano rifugio nel lavoro da una vita in cui non sono stati capaci di realizzare il proprio potenziale (guarda caso, rimpianto numero 1).
Non si riconoscono nella propria esistenza e annegarsi nel lavoro (quello che gli anglofoni chiamano "workaholism") li aiuta a non prendere atto che vivono uno stillicidio quotidiano di mezze verità, omissioni e menzogne. Che cosa è restato della passione, delle emozioni, della sensazione di essere vivo, del coraggio delle proprie scelte?
I loro desideri di adolescente sono naufragati in un "posto sicuro", in un "mutuo ventennale a tasso fisso", in una Station Wagon o, nel migliore(?) dei casi un SUV. Hanno seguito pedissequamente i modelli genitoriali e hanno realizzato, per lo più, le aspirazioni dei loro padri che desideravano solidità economica, un'automobile, la casa di proprietà, bimbi tirati a lucido e casa con la donna a mezzo servizio.
E' la maledizione del sogno transgenerazionale, ciascuno generazione condannata a realizzare i sogni della precedente.
Ma forse riusciamo a spezzare questo circolo vizioso, se continuiamo in questo modo è probabile che le nuove generazioni si trovino, piuttosto, a vivere i nostri incubi.

lunedì 6 febbraio 2012

L'uccisione di Babbo Natale

Parlavo con un mio amico ieri, mi diceva della difficoltà di prendere atto della fine del proprio matrimonio. Mi confidava che la pena più grande era quella di rinunciare al sogno di avere una famiglia. "Una famiglia felice come la mia, come la tua", aggiungeva.
E, quasi tra le lacrime, mi diceva che gli sembrava un fallimento enorme ammettere di aver sbagliato e di non essere riuscito a stringere i denti ed andare avanti, come avevano fatto i suoi genitori.
Allora ho sentito il dovere di dirgli che sbagliava se pensava di dover rinunciare alla famiglia perché non aveva più una famiglia felice. Che le famiglie felici non esistono, sono un'invenzione pubblicitaria della Barilla. Che se riesci a non scannarti, a non urlarti addosso tutti i giorni, se non ti insulti ogni momento e non usi le braccia di tuo figlio come posacenere, hai una famiglia soddisfacente.
Certo non aspettarti di tornare a casa ed essere felice di vedere tua moglie o tuo marito, di sopportare i suoceri, di avere un grande livello di comunicazione o la passione...
Il matrimonio è un contratto patrimoniale legato al diritto civile, coi sogni e la felicità non c'entra nulla, è un accordo di mutua assistenza e di assistenza alla prole. Nulla a che vedere con l'amore, con i sogni.
Per cui l'ultimo motivo per rinunciare alla famiglia è il fatto di non essere felici, è come rinunciare a un'automobile perché non fa le coccole.
I genitori ci fanno crescere con l'idea che siamo una bella famiglia, ripetendocelo fino alla nausea, e noi fingiamo di non vedere la realtà, in una congiura del silenzio collettiva. Quello che ricordiamo è ciò che ci dicevamo non quello che vedevamo.
E' un po' come la storia di Babbo Natale, quando sei piccolo ci credi, da grande sai che non esiste ma continui a fare i regali e dici ai bambini che uno strano signore arriverà a casa, anche se non c'è più il camino, si calerà probabilmente dalla cappa sui fornelli o entrerà con l'ADSL. Non si sa.
La racconti perché anche se sai che Babbo Natale non esiste, ricordi quanto fosse bello crederci quando eri bambino e non vuoi privare nessuno di questa temporanea, innocente illusione.
Il problema è che se convinci tuo figlio del mito della famiglia felice, ne farai un'altra persona condannata a perseguire un ideale difficile da raggiungere a costo della propria e altrui felicità.
Ma quando sei lì e Babbo Natale ti guarda con gli occhi spaventati fai fatica a premere il grilletto.

PS: per eventuali bambini che leggano questo post. Babbo Natale probabilmente esiste, siamo noi adulti che non riusciamo più a vederlo, ma pur di non ammettere di aver perso la capacità di vedere i nostri sogni, preferiamo dire che non sono mai esistiti.