domenica 27 ottobre 2013

La bambina con le trecce

Andavo a messa tutte le domeniche quando ero bambina.

Le mie amiche erano compunte, deliziose, con i nastri nelle chiome. Io ero magrissima, smunta, pallida, piena di lentiggini e malinconica.

Mia madre mi acconciava i capelli in due trecce leggere -avevo i capelli sottili, allora – all’estremità delle quali annodava piccoli elastici con delle sfere di legno colorate.

I capelli mi tiravano sulla testa, mi facevano male, e sotto la frangia la mia faccia da topo sembrava ancora più buffa; accettavo la pena con rassegnazione, sapevo che le trecce erano l’unico modo di evitare che i miei capelli si annodassero e di piangere quando venivo pettinata.

Quando sedevamo in chiesa, le mie amiche si guardavano il vestito della domenica, il mio raramente era bello, non ci potevamo permettere grandi lussi, ero l’ultima di cinque figli e solo mio padre lavorava, ma non mi importava, il mio sguardo era fisso sull’altare, ero attenta a ogni momento, mi commuovevo a ogni istante.

Mi sembrava di vedere la luce di Dio filtrare dalle vetrate colorate di quella chiesa di periferia, dagli arredi scarni, in cui l’odore dell’incenso mi faceva pensare che in qualche modo respiravo la salvezza.

Quando avevo fatto il catechismo per la prima comunione ero l’unica che ascoltava, l’unica che faceva domande, che chiedeva il senso delle parole delle preghiere.

Ora mi rendo conto che mettevo in difficoltà quelle volenterose liceali che a volte mi guardavano con tenerezza, a volte con insofferenza, ma mai con un vero fastidio.

Crescendo le  mie domande erano cresciute con me.  A scuola durante l’ora di Religione, le mie amiche ripassavano le altre materie, schizzavano cuori sui diari, io mi sedevo accanto al professore e gli facevo domande.

Un giorno gli domandai: “Don Pasquale, ma lei non vede contraddizione tra libero arbitrio e onniscienza divina?”.

Mi fissò con i suoi occhi azzurri buoni, nel viso circondato dalle rughe. Dalle mie parti i preti erano spesso anche contadini, con la pelle cotta dal sole.

“Perché non ripeti Matematica, come stanno facendo le tue amiche?”.

Fu allora che capii davvero, per la prima volta, che chi cerca risposte è solo.

Man mano che andavo avanti le rispose che trovavo mi piacevano sempre meno. L’omelia iniziò a sembrarmi violenta. Le imposizioni della morale sessuale irragionevoli e innaturali. L'opulenza del Vaticano, i diktat politici, la misoginia, ingiuste.

Vedevo attorno a me i sedicenti cattolici trattare la religione come un’insalata, il matrimonio in chiesa sì, ma il divieto dei rapporti prematrimoniali no, il battesimo sì, il divieto degli anticoncezionali no, ecc.

Perché? Mi domandavo. Che senso ha? Dio se esiste non può volere questo, non può volerci imprigionare nell’obbligo dell’incoerenza.

Così decisi di farlo.

Un giorno qualunque quando mi è arrivata la lettera della Diocesi, in cui il mio “sbattezzo” veniva confermato,  a meno che non ci avessi ripensato. Mi invitavano comunque al dialogo col Vescovo. Ci ho pensato, a dire il vero. Ho rivisto me stessa sul banco di scuola mentre le mie amiche chiacchieravano, durante l’ora di Religione, le persone durante la messa, scambiarsi SMS, chiacchierare tra loro, far squillare il telefono, spendere migliaia di Euro per un matrimonio in Chiesa, invece di darli in beneficenza.

Ho ripensato alla serietà con cui avevo preso la Prima Comunione, quanto avevo sentito la Cresima.

Ero stata tradita. Ma da chi? Da che cosa? E perché? Forse è necessario perdere le persone come me, per tenere tutti gli altri.

Ho guardato di nuovo la lettera nella mia mano, una lettera che mi diceva, in qualche modo, che non ero più come loro. Un ultimo sguardo dentro di me alla bimba smunta, con i pantaloni di fustagno e la maglia a righe, la testa china nella preghiera.

Le ho carezzato dentro di me le trecce sottili, e ho chiuso tutto in un cassetto. Per sempre.